Pubblicato su politicadomani Num 92-93 - Giugno/Luglio 2009

Il difficile cammino dell'Unione
In Europa non basta cavarsela

di Alessia Centioni

L'Europa è sorta per rispondere alle sfide della modernità dopo la tragedia della paura e delle guerre. Per rendere efficace questa sua vocazione occorre scegliere per il Parlamento europeo persone specificamente preparate, che sappiano rispondere in maniera positiva alle attese dei cittadini e siano capaci di indirizzare opportunamente le politiche degli Stati di provenienza. Tuttavia i criteri adottati in Italia nella scelta dei candidati e la disinformazione generalizzata sulla vera posta in gioco in queste elezioni indeboliscono di fatto la posizione e il ruolo in Europa del nostro paese

Mancano ormai solo poche ore alle elezioni europee; la campagna elettorale è partita. Ciò che appare ancora tragicamente oscuro è che di Europa non se ne parli affatto.
Ancora una volta l'Italia dimostra la piccineria di una classe politica attenta ad affarucci domestici, a giochi di forza fuori e dentro i partiti, dove, oggi più che mai si combatte all'ultimo sangue una lotta fratricida.
Su altri fronti, si preferisce concentrarsi sugli affari di famiglia e le questioni di cuore (?) di un presidente del Consiglio che premia dignità e merito delle donne con una grossa risata e una mancia altrettanto generosa, e la mancia si sa, è un posto. Il più delle volte in Parlamento. Italiano o europeo non conta, l'importante è sedersi. Per alcuni pare sia diventato di gran voga sedere lì, su quelle poltrone un po' âgées.
Ci chiediamo allora se sia necessario spiegare che il Parlamento non è un posto in cui si parla, né un locale alla moda. Probabilmente gli uomini di governo organizzeranno un nuovo corso, magari di sole di 20 ore, (il tempo stringe) per spiegare questo piccolo dettaglio che deve essere evidentemente sfuggito nelle lezioni precedenti, strutturate in 60 ore (coordinate dall'esigente ministro Brunetta), che avevano l'intenzione di abilitare alcune candidate a rappresentare gli italiani in Europa. Un corso di politica in pillole e il gioco è fatto. Così si è pronti per affrontare spregiudicati lobbisti sguinzagliati tra Strasburgo e Bruxelles, meccanismi, procedure e burocrazia di un sistema che raccoglie ventisette paesi e mezzo miliardo di cittadini. Un gioco da ragazzi!
Peccato però che la realtà non sia un gioco e nemmeno un giornaletto scandalistico.
La realtà è che da due anni l'Unione Europea si prepara, dopo momenti di crisi e preoccupanti impasse, a compiere passi fondamentali per il futuro. La speranza dell'unanime ratifica del Trattato di Lisbona rende le attese dei cittadini europei cariche di aspettative, aspettative per decisioni importanti che si attendono dalla politica e dai governi che di quella bandiera blu a stelle d'oro decidono la sorte.
Il progetto di creare una grande comunità europea ha permesso nel secondo dopoguerra di stemperare le tensioni non ancora distese che sono seguite alla fine del secondo conflitto mondiale; ha permesso, grazie a uomini di grande levatura politica come Jean Monnet e Robert Schuman di mitigare antagonismi internazionali, aprendo allo stesso tempo un circolo virtuoso, fatto di cooperazione economica tra i sei stati fondatori (Italia, Francia, Germania e Benelux*) e difesa della pace. Dopo pochissimi decenni quella Comunità, nata dall'alto di un disegno politico-diplomatico volto al mantenimento dell'equilibrio internazionale, annunciava ai cittadini un progetto, un'aspirazione ancora più ambiziosi.
L'idea di Europa federale agitava le menti di chi già allora aveva intuito che gli Stati nazionali non sarebbero più bastati ad affrontare gli inevitabili cambiamenti epocali che di lì a poco si sarebbero manifestati. Era necessario connotare la Comunità di un più esplicito carattere politico. Il più forte legame tra i cittadini degli Stati membri e la Comunità Europea non poteva che essere, necessariamente, la rappresentanza democratica. Il voto per l'elezione diretta dell'Assemblea parlamentare portava i cittadini europei ad impossessarsi di una sovranità più grande e sovrannazionale. Era il 1979 quando i cittadini europei vennero chiamati per la prima volta alle urne per scegliere i loro rappresentanti in Europa. Da allora è cambiato tutto.
È crollato il muro che divideva in due l'Europa e il mondo; sono ormai ventisette i paesi in cui le frontiere non esistono più, e dove ci si muove liberamente in uno spazio giuridico ed economico comune. Vent'anni fa non era possibile attraversare Berlino; oggi, invece, un ragazzo di diciotto anni o poco più può scegliere di studiare in ventisette paesi a pari condizioni. Oggi, se nel vostro paese il mutuo è troppo caro, potete scegliere di accenderlo o di trasportarlo in una banca dei Ventisette che vi offre un tasso più conveniente. Oggi è grazie all'Unione europea, che investe nello sviluppo sostenibile più risorse di ogni altro Stato al mondo, che il vostro paese si è impegnato insieme ad altri a ridurre le emissioni CO2 e a sviluppare fonti di energia rinnovabili.
L'Unione europea offre a tutti gli stati membri la possibilità di progredire nell'innovazione politica giuridica ed economica; i regolamenti e le direttive dell'UE sono parte integrante del nostro sistema giuridico: non sono altra cosa dalla legge italiana, sono la legge italiana. Ecco perché l'Italia può superare gli ostacoli che ne impediscono il progresso civile e lo sviluppo economico appellandosi alla legislazione europea. Basti pensare al regime di concorrenza, che in Italia mantiene ancora molte restrizione di stampo corporativo a danno esclusivo dei consumatori. Le tante e ambigue leggine, che intralciano il corretto e spedito funzionamento della macchina statale e delle relazioni fra i cittadini e i loro amministratori, scomparirebbero e sarebbero sostituite da poche leggi più semplici e più chiare, se solo ci fosse l'intenzione di assumersi la responsabilità di appellarsi a quei principi che l'UE ha voluto per estendere le libertà e le garanzie dei cittadini (si pensi alla protezione del consumatore nel settore bancario e dell'informazione). Una necessità che l'Italia continua a non voler vedere, una responsabilità che continua a non volersi assumere, per non rinunciare a interessi di categoria, quelli delle cosiddette "caste". Un maggiore impegno dell'Italia a Bruxelles permetterebbe di cogliere molte occasioni che troppo spesso ci sfuggono di mano e lasciamo colpevolmente cadere. Per ignoranza, per superficialità, per mancanza di responsabilità.
Nonostante le competenze del Parlamento Europeo non siano ancora decisive nel determinare gli indirizzi dell'Unione, è vero però che una più vivace attività dei parlamentari europei può intensificare il contatto con il Parlamento italiano e attivare sinergie politiche tra Roma e Bruxelles, migliorare la comunicazione delle politiche europee in Italia, e sensibilizzare la politica italiana al recepimento degli stimoli europei. Peccato che in Italia di Europa non se ne parli quasi mai, se non pochissimo prima delle elezioni.
L'apatia e l'afasia della politica italiana verso l'Europa porta i partiti a sminuire l'importanza delle candidature. Queste vengono spesso usate dai coordinatori delle segreterie come lo strumento più rapido e più indolore per mandare in pensione qualche esponente di partito al quale non si sa più trovare una collocazione sulla scena nazionale, dove ormai c'è una folla eccessiva a contendersi le poltrone; oppure sono usate come mezzo per arraffare voti, più voti possibile, candidando "facce belle e fresche" al solo scopo di aumentare le percentuali di consenso, gente tuttavia che eserciterà poco o nulla la funzione per cui è stata eletta.
La bassa considerazione che c'è in Italia dell'Unione europea ci si ritorce contro come un boomerang: indebolisce il nostro ruolo in una comunità molto ampia dove contiamo sempre meno. Al Parlamento europeo è indispensabile una specifica preparazione tecnica e politica; la laurea che candidati di dubbia idoneità sbandierano, non basta a renderli credibili e a far sì che sappiano sostenere il ruolo a cui sono stati chiamati. Un politico scadente al Parlamento europeo significa politica scadente in Italia: vuol dire, quindi, essere scadenti in Europa e nel mondo. Nonostante l'Italia sia stata un tempo il paese più europeista dell'Unione, poco oggi sembra importare dell'Europa agli Italiani che, mostrano di essere più attaccati a patrie virtuali troppo piccole come la Padania o troppo grandi come il mondo, avendo smarrito il senso delle istituzioni, che hanno sostituito o con un vago sentimento, o un prosaico senso comune incapace di slanci. L'Unione europea è percepita come un costo e un vincolo più che come un'opportunità. Un atteggiamento che deriva dalla atavica convinzione di essere in grado di cavarsela sempre, con mezzi propri, curandosi poco e niente della responsabilità che lo Stato ha verso i suoi cittadini e i cittadini verso lo Stato.
Oggi stiamo vivendo un altro cambiamento epocale: è crollato un altro muro, quello di Wall Street. Dopo la bufera che sta travolgendo l'intero pianeta (non passerà presto, si teme), posizione e influenza di ciascun paese saranno trasformate. Saranno i più deboli a pagare il costo più alto, soprattutto coloro che non sanno cosa vogliono né dove è necessario andare. Come noi Italiani.

* Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi

 

 

 

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